Le fonti.
Le fonti più autorevole che parlano di Temesa e della storia o delle leggende che riguardano questa città.
Omero, Odissea, libro I vv. 180 ss.
"Io sono Mente, figlio del saggio Anchialo, regno sui Tafi che amano il remo. Navigando sul mare colore del vino, verso genti straniere, verso Temesa in cerca di bronzo, sono arrivato qui con nave e compagni. Porto con me ferro lucente"
Traduzione a cura di Maria Grazia Ciani, BUR Rizzoli
Callimaco, Aita, frr. 85-98 Pfeiffer
"E quella statua che [di bronzo]
la [città] stessa di Locri aveva eretto in tuo onore,
(...) [i modell]atori Temeseo (...)
intorno all'[ope]ra delle api (...)"
"Quelle (imprese) di Eutimo, quante [compì] presso Zeus che domina Pisa
la [città] stessa di Locri aveva eretto in tuo onore,
(...) [i modell]atori Temeseo (...)
intorno all'[ope]ra delle api (...)"
"Quelle (imprese) di Eutimo, quante [compì] presso Zeus che domina Pisa
Traduzione a cura di Giovan Battista D'Alessio, BUR Rizzoli
Licofrone, Alessandra vv. 1067 ss.
"A Temesa verranno i marinai dei nipoti di Naubolo,
dove il corno del Promontorio Ipponio si protende sul mare di Lampezia,
e invece delle terre nel confine di Crisa
areranno, con ala tratta dai buoi,
sul mare opposto, il solco Crotone
col desiderio in cuore
della patria Lilèa, della pianura
di Anemorèa, di Anfissa, di Abe illustre."
dove il corno del Promontorio Ipponio si protende sul mare di Lampezia,
e invece delle terre nel confine di Crisa
areranno, con ala tratta dai buoi,
sul mare opposto, il solco Crotone
col desiderio in cuore
della patria Lilèa, della pianura
di Anemorèa, di Anfissa, di Abe illustre."
Traduzione a cura di Valeria Gigante Lanzara, BUR Rizzoli
Polibio, Storie, libro XIII, 10,11
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Strabone, Geografia, libro I , 1,10 - libro VI, 1,5 - libro XII, 3,23
"Partendo da Laos, la prima città dei Bretti è Temesa (che ora chiamiamo Tempsa). La fondarono gli Ausoni, poi gli Etoli che vi giunsero con Toante, cacciati poi dai Bretti. Questi, a loro volta, furono poi vinti da Annibale e dai Romani. Presso Temesa vi è un heròon, circondato da olivi selvatici, sacro a Polite, uno dei compagni di Odisseo che, ucciso a tradimento dai barbari, di sdegnò gravemente nei loro confronti, sicché gli abitanti del luogo, secondo il responso di un certo oracolo, si sottomisero all’usanza di pagargli un tributo. E di qui è venuto, nei confronti di quanti sono molesti, il proverbio: «L’eroe di Temesa grava su di loro». Raccontano poi che, quando i Locresi Epizefiri presero la città, il pugile Eutimo scese presso il demone, lo vinse in duello e lo costrinse a liberare gli abitanti dal tributo. Dicono che di questa città di Temesa faccia menzione Omero e non della Tamaso di Cipro. Il verso omerico: «A Temesa per bronzo» viene infatti interpretato in due modi. Vicino alla città vengono indicate miniere di rame, che ora sono abbandonate."
Traduzione a cura di Anna Maria Biraschi, BUR Rizzoli
Livio, Storia di Roma, libro XXXIV, 45,4-5
"Colonie di cittadini romani furono fondate anche a Tempsa e a Crotone. Il territorio di Tempsa era stato sottratto ai Bruzi; i Bruzi avevano cacciato i Greci, che tenevano Crotone. I triumviri Gneo Ottavio, Lucio Emilio Paolo e Gaio Letorio dedussero la colonia di Crotone, Lucio Cornelio Merula, Quinto <...> e Gaio Solonio quella di Tempsa."
Traduzione a cura di Luca Cardinali, BUR Rizzoli
Ovidio, Metamorfosi, libro XV vv. 703 ss.
"[...] si lascia indietro la Iapigia e a forza di remi evita gli scogli Anfrisi sulla sinistra e sulla destra lo strapiombio Celennio; sfiora Romezio, Caulone e Naricia, supera lo stretto di Sicilia rasentando il promontorio di Peloro e si dirige verso la regale dimora del figlio di Ippota, verso le miniere di Temesa, Leucosia e Pesto dal mite clima, piena di rose."
Traduzione a cura di Giovanna Faranda Villa, BUR Rizzoli
Ovidio, Fasti, libro V vv. 423 ss.
"Un tempo l’anno era più breve, non si conoscevano i riti di purificazione e tu, Giano bifronte, non eri ancora in testa alla serie dei mesi. Già allora, però, si offrivano doni alle ceneri dei morti e i nipoti onoravano i tumuli degli avi defunti. Ciò che avveniva nel mese di maggio, così chiamato in riferimento agli anziani, ed esso in parte conserva tuttora questa antica tradizione. Nel cuore della notte, quando il silenzio favorisce il sonno e tacciono i cani e le varie specie di uccelli, colui che osserva l’antico rito, ed ha timore degli dèi, si alza (ha entrambi i piedi liberi da impedimenti) e da un segno serrando il pollice nel dito medio: è per non incontrare, camminando in silenzio, qualche ombra evanescente. Si purifica lavando le mani nell’acqua corrente, si gira all’indietro dopo aver preso in mano delle fave nere, le getta dietro le spalle e, mentre le getta dice: «offro queste fave e con esse riscatto me e i miei familiari». Ripete la formula per nove volte senza guardare alla spalle: si ritiene che l’ombra raccolga le fave e, senza esser vista, lo segua. Di nuovo lui tocca l’acqua, percuote i bronzi di Temesa e chiede all’ombra di uscire da casa sua. Per nove volte dice: «uscite, Mani dei miei padri!», poi si guarda alle spalle e ritiene di aver effettuato il rito nel modo dovuto."
Traduzione a cura di Fabio Stok, U.T. - Editrice Torinese
Plinio il Vecchio, Storia naturale, libro III, 71-74 - libro XIV, 69
"Dal Sele ha inizio la terza regione, comprendente la Lucania e il
Bruzio. […] Dal Lao ha inizio la costa bruzia, con la città di Blanda, il fiume
Baleto, il porto di Partenio fondato dai Focesi e il golfo di Vibo, la località
di Clampezia, la città di Tempsa, detta dai Greci Temese, e Terina, colonia dei
Crotoniati, col grande golfo Terineo. All’interno è la città di Cosenza. In una
penisola si trova il fiume Acheronte, dal cui nome gli abitanti del luogo son
detti Acherontini. […]"
Traduzione a cura di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci, Giulio Einaudi Editore
Stazio, Silvae, libro I, vv. 41 ss.
"Un petto, che sembra fatto per contenere i pensieri di tutto il mondo e per costruire il quale Temesa si è prodigata fino all'esaurimento, con tutte le sue miniere; dalle spalle scende giù il clamide."
Traduzione a cura di Antonio Traglia e Giuseppe Aricò, U.T. - Editrice Torinese
Pausania, Periegesi della Grecia, VI, 6,4-11
" È tutto per quanto riguarda costoro; quanto poi al pugile Eutimo, non sarebbe giusto che trascurassi ciò che riguarda le sue vittorie e gli altri episodi che l’hanno reso celebre. Eutimo era della stirpe dei Locresi d’Italia, che vivono nella regione prossima al capo Zefirio, ed era chiamato figlio di Asticle; la gente del luogo asserisce tuttavia che non era figlio di quest’ultimo ma del fiume Cecine, che segna il confine fra il territorio di Locri e quello di Reggio e presenta lo strano fenomeno delle cicale: infatti le cicale che si trovano nella Locride fino al fiume Cecine cantano come le altre cicale, ma se uno attraversa il Cecine le cicale che si trovano nel Reggino non cantano più.
Di questo fiume si dice che fosse figlio Eutimo. Conseguì una vittoria nel pugilato nella settantaquattresima olimpiade, ma non gli riuscì di rinnovare il successo nell’olimpiade seguente: infatti Teagene di Taso, che aspirava a vincere in quell’olimpiade sia nel pugilato che nel pancrazio, superò Eutimo nel pugilato, ma a sua volta non riuscì a conquistare la corona di oleastro nel pancrazio perché spossato dalla lotta contro Eutimo.
Per questo motivo i giudici di gara imposero a Teagene un talento di multa da consacrare a Zeus e un talento per il danno arrecato a Eutimo, in quanto pareva loro che avesse scelto la gara del pugilato per recargli ingiuria; e per questo lo condannarono anche a un risarcimento personale da pagare a Eutimo. Nella settantaseiesima olimpiade, Teagene versò il denaro dovuto al dio e per compensare Eutimo non si presentò al pugilato: e sia in quella olimpiade, che nella successiva Eutimo conseguì la corona del pugilato. La statua in suo onore è opera di Pitagora ed è degna quant’altre mai di essere vista.
Fu al ritorno in Italia che Eutimo combatté con l’Eroe; i fatti sono questi. Raccontano che Odisseo, nel suo peregrinare dopo la presa di Ilio, fu sbattuto dai venti in diverse città dell’Italia e della Sicilia, e giunse con le sue navi anche a Temesa; e lì uno dei marinai, ubriaco, fece violenza a una vergine e per questo misfatto fu lapidato dalla gente del luogo.
Senza tenere in alcun conto la sua fine, Odisseo salpò e proseguì il suo viaggio, ma il demone dell’uomo lapidato non lasciava passare nessuna occasione per uccidere a sua volta quelli di Temesa, vendicandosi sulla gente di tutte le età; e gli abitanti del luogo nutrivano l’intenzione di fuggire del tutto dall’Italia, ma la Pizia non permise che abbandonassero Temesa e ordinò loro di placare l’Eroe, destinandogli un’area sacra e costruendovi un tempio, e di dargli ogni anno in moglie la più bella tra le fanciulle di Temesa.
Ed essi compirono le prescrizioni del dio e, quanto al resto, non ebbero più nulla da temere da parte del demone; ma Eutimo – giunto a Temesa mentre si compiva il tradizionale rito per il demone – s’informò della loro situazione e fu preso dal desiderio di entrare nel tempio e guardare la ragazza; come la vide, dapprima ne ebbe compassione e poi se ne innamorò: la fanciulla gli giurò che se l’avesse salvata lo avrebbe sposato ed Eutimo, vestite le armi, attese a piè fermo l’assalto del demone.
Riuscì vincitore nel duello e l’Eroe, cacciato dalla terra, scomparve immergendosi in mare; Eutimo celebrò magnifiche nozze e gli uomini di quel paese furono per sempre liberati dal demone. A proposito di Eutimo ho sentito dire anche che pervenne a un’estrema vecchiaia e che sfuggì alla morte separandosi dagli uomini in un altro e diverso modo. Che Temesa sia abitata anche ai miei giorni l’ho sentito dire da uno che vi si era recato via mare per motivi di commercio.
Questo l’ho sentito dire; conosco invece, perché mi è capitato di vederla, una pittura, che era una copia di una pittura antica. Raffigurava un giovinetto, Sibari, un fiume, il Calabro, e una fonte, Calica, e inoltre Era e la città di Temesa; tra queste figure vi era anche il demone che Eutimo scacciò – terribilmente nero di colore e tremendo in tutto il suo aspetto – ed era avvolto in una pelle di lupo; l’iscrizione sulla pittura ne dava anche il nome: Alibante."
Di questo fiume si dice che fosse figlio Eutimo. Conseguì una vittoria nel pugilato nella settantaquattresima olimpiade, ma non gli riuscì di rinnovare il successo nell’olimpiade seguente: infatti Teagene di Taso, che aspirava a vincere in quell’olimpiade sia nel pugilato che nel pancrazio, superò Eutimo nel pugilato, ma a sua volta non riuscì a conquistare la corona di oleastro nel pancrazio perché spossato dalla lotta contro Eutimo.
Per questo motivo i giudici di gara imposero a Teagene un talento di multa da consacrare a Zeus e un talento per il danno arrecato a Eutimo, in quanto pareva loro che avesse scelto la gara del pugilato per recargli ingiuria; e per questo lo condannarono anche a un risarcimento personale da pagare a Eutimo. Nella settantaseiesima olimpiade, Teagene versò il denaro dovuto al dio e per compensare Eutimo non si presentò al pugilato: e sia in quella olimpiade, che nella successiva Eutimo conseguì la corona del pugilato. La statua in suo onore è opera di Pitagora ed è degna quant’altre mai di essere vista.
Fu al ritorno in Italia che Eutimo combatté con l’Eroe; i fatti sono questi. Raccontano che Odisseo, nel suo peregrinare dopo la presa di Ilio, fu sbattuto dai venti in diverse città dell’Italia e della Sicilia, e giunse con le sue navi anche a Temesa; e lì uno dei marinai, ubriaco, fece violenza a una vergine e per questo misfatto fu lapidato dalla gente del luogo.
Senza tenere in alcun conto la sua fine, Odisseo salpò e proseguì il suo viaggio, ma il demone dell’uomo lapidato non lasciava passare nessuna occasione per uccidere a sua volta quelli di Temesa, vendicandosi sulla gente di tutte le età; e gli abitanti del luogo nutrivano l’intenzione di fuggire del tutto dall’Italia, ma la Pizia non permise che abbandonassero Temesa e ordinò loro di placare l’Eroe, destinandogli un’area sacra e costruendovi un tempio, e di dargli ogni anno in moglie la più bella tra le fanciulle di Temesa.
Ed essi compirono le prescrizioni del dio e, quanto al resto, non ebbero più nulla da temere da parte del demone; ma Eutimo – giunto a Temesa mentre si compiva il tradizionale rito per il demone – s’informò della loro situazione e fu preso dal desiderio di entrare nel tempio e guardare la ragazza; come la vide, dapprima ne ebbe compassione e poi se ne innamorò: la fanciulla gli giurò che se l’avesse salvata lo avrebbe sposato ed Eutimo, vestite le armi, attese a piè fermo l’assalto del demone.
Riuscì vincitore nel duello e l’Eroe, cacciato dalla terra, scomparve immergendosi in mare; Eutimo celebrò magnifiche nozze e gli uomini di quel paese furono per sempre liberati dal demone. A proposito di Eutimo ho sentito dire anche che pervenne a un’estrema vecchiaia e che sfuggì alla morte separandosi dagli uomini in un altro e diverso modo. Che Temesa sia abitata anche ai miei giorni l’ho sentito dire da uno che vi si era recato via mare per motivi di commercio.
Questo l’ho sentito dire; conosco invece, perché mi è capitato di vederla, una pittura, che era una copia di una pittura antica. Raffigurava un giovinetto, Sibari, un fiume, il Calabro, e una fonte, Calica, e inoltre Era e la città di Temesa; tra queste figure vi era anche il demone che Eutimo scacciò – terribilmente nero di colore e tremendo in tutto il suo aspetto – ed era avvolto in una pelle di lupo; l’iscrizione sulla pittura ne dava anche il nome: Alibante."
Traduzione a cura di Gianfranco Maddoli e Massimo Nafissi, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori Editore